Il primo numero di Mondo Operaio, poi Mondoperaio, vide la luce il 4 dicembre 1948. La rivista era allora diretta dal suo fondatore, Pietro Nenni, in quel momento non più alla guida del Partito socialista italiano. Nenni aveva bisogno di un organo di stampa per la sua corrente di sinistra, e volle una rivista che, come scrisse nel suo primo editoriale, si interessasse maggiormente di politica estera, perché questa “fu per alcuni decenni monopolio di ristrettissimi gruppi aulici ed aristocratici; fu durante il ventennio fascista considerata caccia riservata di pochi gerarchi; è ancora oggi giudicata una attività misteriosa, fuori delle preoccupazioni di comuni mortali”, quando invece lo stesso Nenni la considerava “la politica per eccellenza”. Come ebbe a scrivere, in occasione dei primi quarant’anni di Mondoperaio Luciano Pellicani, uno dei suoi storici direttori, “la vicenda intellettuale di Mondoperaio coincide, in buona sostanza, con il travaglio, ‘quasi esistenziale’, attraverso il quale il Partito socialista italiano si è liberato dell’illusione rivoluzionaria per ritornare alla sua ispirazione originaria, che era quella riformista”. Una vicenda, questa, che ha vissuto di intuizioni brillanti, come di errori politici, ma sempre caratterizzata da quel “fervido disordine”, che fu una delle caratteristiche principale del Psi durante tutta la sua storia; forse il portato della “natura profondamente libertaria dei socialisti italiani”, tanto che nel partito “i valori del socialismo e persino l’ideologia marxista non erano mai vissuti come credo religioso”. Nel Partito Socialista hanno trovato spazio culture diverse, che hanno dato luogo a contaminazioni proficue, come quella azionista, che fin da subito dopo la Seconda guerra mondiale si insediò nel Psi, portando con sé il filone liberal-democratico che solo nelle istanze antiautoritarie proprie della cultura socialista potevano trovare un valido alleato. Poi, a partire dal 1956, quella autenticamente post-comunista (da non confondere col post-comunismo necessario degli anni ‘90 del secolo scorso). E quelle che potremmo definire “culture contigue” di matrice cattolica, impersonate da Livio Labor, Pierre Carniti e Gianni Baget Bozzo. Queste diversità, e questi caratteri, Mondoperaio li ha impersonati tutti. Anzi, ne è stato l’incubatore ed allo stesso tempo il volano, evidenziando “uno spirito critico senza il quale non c’è alcun progresso lungo la strada della democrazia sociale, che è poi la strada già indicata dal grande Filippo Turati”. Per i suoi settant’anni, Mondoperaio ha deciso di redigere una raccolta di testi che ripercorre la storia della rivista. Non si hanno presunzioni né di esaustività, né tanto meno di sistematicità. Non vuole essere un quaderno tematico. E non segue alcuna “linea politica”. C’è solo l’intento di togliere dalle biblioteche qualche vecchio ma interessante articolo, che non fa altro che testimoniare la varietà di persone e contenuti che hanno animato la rivista. Sono tanti i temi che Mondoperaio ha affrontato, e che continua ad affrontare con lo stesso spirito laico che ha sempre contraddistinto i socialisti italiani. Ed è stato “abitato” da personaggi davvero distanti tra loro. Si pensi, per esempio, a Raniero Panzieri e Norberto Bobbio. Persone diverse, idee a volte oltre l’orlo della inconciliabilità, ma comunque nella stessa storia, nel socialismo italiano. Forse, è proprio la diversità il filo conduttore di questa storia. La cosa che la rende unica e interessante nella scoperta, quanto nella riscoperta, dei suoi attori principali, delle loro idee, come delle loro battaglie. Mondoperaio come luogo di “disertori” è un’immagine suggestiva, pur se non corrisponde totalmente ad una realtà storica. Ma pensiamo che ogni pagina di Mondoperaio che sia letta o riletta, possa darci uno spaccato mai banale della nostra società, presente e passata. Si può dissentire, ovviamente. Dissenso, appunto. Altra parola di cui Mondoperaio può andar fiero.